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19 – le possibili conseguenze sui contratti di locazione commerciale

By 1 Giugno 2020



Stefano Bardella, partner Litigation & Dispute Resolution – Valeria Giorgetti, associate, K&L Gates Studio Legale Associato


L’emergenza COVID-19 ha reso necessaria l’adozione in Italia di normative d’urgenza finalizzate a contrastare la diffusione del contagio. I provvedimenti emanati hanno inciso in modo significativo, tra l’altro, sulla libertà di movimento delle persone, sulle attività produttive e sulle attività commerciali.

Con particolare riferimento al mondo del retail, ci si interroga se il conduttore di un immobile ad uso commerciale, obbligato a sospendere la propria attività dai provvedimenti legislativi possa sospendere o chiedere la riduzione dei canoni e, viceversa, quali tutele possa invocare il locatore per il rispetto delle previsioni contrattuali. Nel vivace dibattito che è sorto, e in attesa che la giurisprudenza possa delineare e incanalare in modo più preciso la materia, molteplici sono gli istituti giuridici richiamati dagli interpreti.

a) Il diritto di recesso per gravi motivi

L’art. 27 della Legge 392/1978 attribuisce al conduttore, nelle locazioni ad uso non abitativo, il diritto di recesso in qualsiasi momento per gravi motivi, con preavviso di sei mesi. I gravi motivi che giustificano il recesso devono essere determinati da fatti estranei alla volontà di chi li invoca, imprevedibili, sopravvenuti e tali da rendere oltremodo gravosa la prosecuzione del rapporto. In tale prospettiva, la chiusura forzata dei locali commerciali e le difficoltà economiche conseguenti all’emergenza COVID-19 potrebbero integrare i “gravi motivi” di cui alla richiamata normativa, trattandosi di circostanze imprevedibili e indipendenti dalla volontà del conduttore.

Tuttavia l’utilizzo di tale istituto, da un punto di vista pratico, trova un limite nel fatto che il conduttore che esercita il recesso per gravi motivi è comunque tenuto al pagamento del canone di locazione per i sei mesi di preavviso. Inoltre l’esercizio del diritto di recesso determinerebbe la perdita definitiva dei locali, ossia di un asset che può essere valutato come prezioso per il conduttore.

b) L’impossibilità sopravvenuta e la forza maggiore

Il conduttore potrebbe richiedere al locatore la sospensione del pagamento del canone durante il periodo interessato dall’emergenza COVID-19 invocando il principio della forza maggiore di cui all’art. 1256 c.c.

Nello specifico, il conduttore potrebbe invocare la forza maggiore quale conseguenza del c.d. factum principis – con ciò intendendosi l’emanazione di provvedimenti legislativi o amministrativi che rendano di fatto impossibile eseguire la prestazione – per sospendere il pagamento del canone di locazione senza incorrere in conseguenze sotto il profilo contrattuale. Una simile impostazione sembrerebbe suggerita anche dall’art. 91 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 (“Decreto Cura Italia“), ai sensi del quale il rispetto delle misure di contenimento del contagio deve essere sempre valutata ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c.

La possibilità di invocare la forza maggiore nei termini sopra descritti, potrebbe tuttavia incontrare un limite dovuto alla considerazione che l’obbligazione di pagamento di una somma di denaro non sarebbe mai “impossibile” e nel fatto che le limitazioni e restrizioni all’attività sarebbero comunque a carattere solo temporaneo.

Secondo una diversa prospettiva, peraltro, sarebbe la prestazione del locatore, chiamato a garantire al conduttore il pieno godimento dell’immobile, ad essere resa impossibile dalle previsioni normative, il che complica ulteriormente l’eventuale scenario conflittuale.
In questo contesto, potrebbe soccorrere l’art. 1464 c.c., a mente del quale, quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta. Tale disposizione potrebbe, dunque, supportare la richiesta dal conduttore di ottenere una riduzione del canone di locazione, corrispondente al periodo di impossibilità di pieno godimento dell’immobile locato.

c) L’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione

Anche l’istituto dell’eccessiva onerosità sopravvenuta di cui all’art. 1467 c.c. potrebbe essere richiamato con riguardo all’eccezionalità della situazione.

Ancora una volta tuttavia, da un punto di vista pratico, gli effetti a cui conduce l’applicazione di tale istituto potrebbero non essere soddisfacenti in quanto, salvo che il locatore offra una controproposta per evitare la risoluzione, si determinerebbe lo scioglimento del contratto, con la perdita dei locali commerciali.

d) La buona fede nell’esecuzione dei contratti

Infine, ricordiamo come l’art. 1375 c.c. disponga un principio di portata generale secondo cui “il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”. È perciò possibile che, nel contesto in esame, un conduttore invochi questo principio generale di legge per ottenere – almeno temporaneamente – un riequilibrio delle condizioni contrattuali.

A tal riguardo, come noto, al fine di limitare l’impatto delle misure restrittive sui contratti di locazione, l’art. 65 del citato Decreto Cura Italia ha introdotto la previsione di un credito d’imposta del 60% dell’ammontare del canone di locazione pagato nel mese di marzo 2020 per la locazione di specifiche tipologie di immobili (i.e. negozi e botteghe) e con l’esclusione delle attività commerciali che non siano state sospese dalla legislazione di emergenza. L’art. 28 del D.L. n. 34 del 19 maggio 2020 (c.d. “Decreto Rilancio“) ha poi esteso la misura del credito d’imposta sia sotto il profilo soggettivo che temporale.

Sebbene le norme sopra citate intervengano sul piano dell’agevolazione fiscale, senza incidere nel rapporto contrattuale tra locatore e conduttore, è altrettanto vero che, se è consentito un credito di imposta (peraltro in una misura piuttosto rilevante, pari al 60%), ciò parrebbe indirettamente supportare la tesi che il conduttore sia comunque tenuto al pagamento dei canoni contrattualmente pattuiti e non abbia un diritto “automatico” di sospensione o riduzione degli stessi. Certamente la misura del sostegno fiscale può anche costituire un parametro utile per le ipotesi in cui le parti intendano comunque negoziare un accordo di riduzione temporanea del canone.
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L’effettiva applicabilità degli istituti giuridici sopra richiamati dovrà essere valutata alla luce delle posizioni che emergeranno a livello giurisprudenziale. Per ora risultano esservi state solo alcune prime pronunce che, sebbene significative, non forniscono che un quadro parziale e ancora in evoluzione.




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