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incostituzionali le norme regionali sulle distanze fra impianti, sul tetto massimo di produzione e sulle proroghe al procedimento autorizzatorio

By 17 Giugno 2020



Commento a cura del Prof. Davide De Lungo


L’Osservatorio costituzionale è curato per Diritto24 dal Prof. Davide De Lungo e dall’ Avv. Nicolle Purificati



Estremi della pronuncia: sentenza n. 106/2020


Tipologia di giudizio: giudizio di legittimità costituzionale in via principale
Presidente: Cartabia
Redattore: Sciarra
Udienza pubblica: 7/4/2020
Decisione: 8/4/2020
Deposito: 5/6/2020


Oggetto: artt. 9, 10, 12, 13, commi 1 e 3, e 27 della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4 («Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione Basilicata»), in relazione agli artt. 3, 41, 97, 117, commi 1, 2, lettera s), e 3 della Costituzione.

Le questioni: lo Stato ha impugnato varie disposizioni della legge della Regione Basilicata n. 4 del 2019 in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili, sollevando quattro questioni di legittimità costituzionale:
i) gli artt. 9 e 10 della legge regionale lucana, nello stabilire in via generale e senza istruttoria o valutazione in concreto distanze minime non previste dalla legislazione statale, violerebbero i principi fondamentali stabiliti dal legislatore nazionale in materia di «produzione, distribuzione e trasporto dell’energia» ex art. 117, comma 3, Cost.;
ii) l’art. 12 della l.r. n. 4 del 2019, che introduce una possibile proroga, per un periodo massimo di 60 giorni, del termine per la presentazione della documentazione prescritta dal Piano di indirizzo energetico ambientale regionale (PIEAR) ai fini dell’autorizzazione regionale di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, su istanza dell’interessato e per motivi indipendenti dalla sua volontà, contrasterebbe con l’esigenza di uniformità normativa sul territorio nazionale, nonché con il principio di buon andamento dell’amministrazione, aggravando in modo arbitrario il procedimento autorizzativo, con violazione degli artt. 3, 97 e 117, comma 2, lett. s) Cost.;
iii) l’art. 13, comma 1, della legge regionale pone ulteriori condizioni per l’esclusione degli impianti di energia da fonti rinnovabili di potenza nominale non superiore a 200 kW dal computo di quelli che concorrono al raggiungimento delle potenze installabili di cui alla Parte terza, paragrafo 1.2.3., Tabelle 1-4, del PIEAR; in particolare, la disposizione – operando in combinato disposto con l’art. 6 della precedente legge regionale lucana n. 8 del 2012, già dichiarato illegittimo con la sentenza costituzionale n. 286 del 2019 – impone che sia assicurata una distanza minima fra impianti e che vi sia la disponibilità di un suolo la cui estensione sia pari o superiore a tre volte la superficie del generatore fotovoltaico, su cui non può essere realizzato altro impianto di produzione di energia da qualunque fonte rinnovabile; ciò contrasterebbe – ad avviso dello Stato – con l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e con le Linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010, che costituiscono, ancora una volta, normativa di principio inderogabile nella materia della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», di cui all’art. 117, comma 3, Cost.;
iv) infine, l’art. 13 della l.r. n. 4 del 2019 è censurato anche nel suo comma 3, là dove pone un tetto all’aumento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003: la previsione violerebbe sia il comma 4 del medesimo art. 12 del d.l.gs. n. 387 del 2003, che, nello stabilire un termine perentorio di 90 giorni per la conclusione del procedimento, si configura quale principio inderogabile in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» ex art. 117, comma 3, Cost.; sia gli accordi internazionali (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ratificata con la legge 1° giugno 2002, n. 120, i c.d. protocolli di Kyoto) e le direttive europee in materia (direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001 sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità; la direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili), che costituiscono parametro interposto di costituzionalità ex art. 117, comma 1, Cost.

La decisione della Corte costituzionale: la Corte ha accolto la prima, seconda e quarta questione. Invece, ha dichiarato infondata la terza, relativa ai requisiti per escludere gli impianti di energia da fonti rinnovabili di potenza nominale non superiore a 200 kW dal computo di quelli che concorrono al raggiungimento delle potenze installabili, ma ciò – occorre precisare – solo in quanto le ulteriori condizioni introdotte dal legislatore regionale qui impugnate, individuate dall’art. 13, comma 1, della l.r. n. 4 del 2019 tramite rinvio all’art. 6 della l.r. n. 8 del 2012, erano già state caducate, in accoglimento delle medesime censure articolate dallo Stato nel giudizio in commento, per effetto della sentenza n. 286 del 2019, la quale, annullando in parte proprio l’art. 6 della l.r. n. 8 del 2012, ha di fatto espunto dal testo dell’art. 13, comma 1, della l.r. n. 4 del 2019 ogni riferimento a tali condizioni.
Per quanto attiene alle questioni accolte, la Corte ha innanzitutto dichiarato illegittimi gli artt. 9 e 10 della legge n. 4 del 2019, sulle distanze minime fra impianti alimentati da fonti di energia rinnovabili. La disciplina del regime abilitativo è riconducibile alla materia concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» ex art. 117, comma 3, Cost. Fra i principi fondamentali della materia vanno annoverati quelli dettati dall’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, e dalle «Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili», adottate in attuazione di quest’ultimo, con il d.m. 10 settembre 2010. Tali Linee guida, adottate in sede di Conferenza unificata e quindi espressione della leale collaborazione fra Stato e Regione, sono vincolanti: esse, infatti, «costituiscono, in settori squisitamente tecnici, il completamento della normativa primaria» (sent. n. 86 del 2019), hanno natura inderogabile e devono essere applicate in modo uniforme in tutto il territorio nazionale (sentt. nn. 286 e 86 del 2019, n. 69 del 2018). In questo quadro di riferimento le Regioni e le Province autonome possono soltanto individuare, caso per caso e all’esito di specifiche valutazioni istruttorie da effettuare nell’ambito di procedimenti amministrativi ad hoc, aree e siti non idonei alla localizzazione degli impianti, nel rispetto degli specifici principi e criteri stabiliti dal paragrafo 17.1 dell’Allegato 3 alle medesime Linee guida; è preclusa, invece, al legislatore regionale la fissazione di «limiti generali inderogabili, valevoli sull’intero territorio regionale, specie nella forma di distanze minime, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea» (sent. n. 286 del 2019).
La Corte ha poi accolto anche la questione relativa all’art. 12 della l.r. n. 4 del 2019, nella parte in cui introduce una possibile proroga, per un periodo massimo di 60 giorni, del termine per la presentazione della documentazione prescritta dal PIEAR ai fini dell’autorizzazione regionale di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387. Evidenzia il giudice costituzionale come, per giurisprudenza costante, tanto il procedimento di autorizzazione unica alla realizzazione di impianti di energia da fonti rinnovabili, di cui all’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, quanto la valutazione di impatto ambientale di competenza regionale, ex art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, sono ispirati «alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità» e sono volti a garantire, «in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo» (sentt. nn. 177 del 2018 e 156 del 2016), in coerenza con il particolare favor riconosciuto alle fonti energetiche rinnovabili dalla disciplina interna e sovranazionale. Entrambi, peraltro, sono stati disciplinati in modo puntuale dal legislatore statale contemperando vari interessi, costituzionalmente rilevanti, «attraverso l’incrocio di diverse tipologie di verifica, il cui coordinamento» – in sede di conferenza di servizi – «e la cui acquisizione sincronica, […] necessari per l’autorizzazione unica finale, non tollerano ulteriori differenziazioni su base regionale» (sentenza n. 267 del 2016). In siffatta, inderogabile, cornice normativa, la proroga stabilita dal legislatore lucano finisce con l’aggiungere un ulteriore, irragionevole anello alla già lunga catena di adempimenti previsti dal legislatore statale, determinando un aggravamento del procedimento autorizzativo, lesivo, ad un tempo, del principio del buon andamento della pubblica amministrazione, dello standard di tutela dell’ambiente fissato dal legislatore statale e dei principi inderogabili in materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
Infine, circa la l’art. 13, comma 3, della l.r. n. 4 del 2019, che pone un tetto all’aumento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, la Corte rileva come, alla luce del quadro normativo interno e sovranazionale vigente la ripartizione fra le Regioni degli oneri inerenti all’incremento della quota minima di energia prodotta con fonti rinnovabili è funzionale a consentire il raggiungimento dell’obiettivo nazionale, indicato come vincolante dalla normativa europea, in linea con il principio della massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili (cfr. sent. n. 286 del 2019). Senza bisogno, però, di approfondire i profili di contrasto col diritto europeo così delineati, e dunque con l’art. 117, comma 1, Cost., il giudice costituzionale ritiene assorbente, ai fini della declaratoria d’incostituzionalità, il manifesto contrato della disposizione lucana con il paragrafo 14.5 delle Linee guida, che statuisce: «[i]l superamento di eventuali limitazioni di tipo programmatico contenute nel Piano Energetico regionale o delle quote minime di incremento dell’energia elettrica da fonti rinnovabili ripartite […] non preclude l’avvio e la conclusione favorevole del procedimento ai sensi del paragrafo 1» e cioè il procedimento di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. La norma impugnata risulta quindi incostituzionale, attribuendo al superamento di quel tetto proprio l’effetto di precludere l’avvio o di sospendere la conclusione di procedimenti preordinati al rilascio di nuove autorizzazioni alla realizzazione degli impianti, violando le Linee Guida attuative dell’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, che come si è visto rappresentano principi fondamentali inderogabili della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» ex art. 117, comma 3, Cost.

Esito: illegittimità costituzionale – non fondatezza

Principali precedenti e riferimenti giurisprudenziali: Corte cost., sentt. nn. 86 e 286 del 2019; 177 e 246 del 2018; 156 e 267 del 2016.




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