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DECRETO CRESCITA, obbligo generalizzato del contradditorio endoprocedimentale

By 14 Settembre 2020



Contributo a cura dell’Avv. Giovanna Bratti e Avv. Davide Torcello


Il cd. Decreto Crescita (D.L. n. 34/2019; convertito con s.m.i. nella L. n. 58/2019)
ha introdotto l’obbligo generalizzato del contradditorio endoprocedimentale; fornendo un riferimento normativo (seppur, ad onor del vero, controverso) ad un istituto oggetto di serrata discussione, in dottrina ed in giurisprudenza, nel corso degli ultimi anni.

L’art. 4 – octies del predetto Decreto introduce, da un lato, l’art. 5-ter nel D. Lgs. n. 218/1997 (contenente la disciplina generale dell’invito al contraddittorio obbligatorio); dall’altro, apporta modifiche agli artt. 5 e 6 del medesimo D. Lgs. n. 218/1997 (relativi alle procedure di adesione facoltative su istanza dell’A.E. o del contribuente).

L’istituto del contradditorio endoprocedimentale, in precedenza, era stato oggetto di pronunce di legittimità di rilevante portata; le quali avevano distinto la disciplina applicabile sulla base della natura “armonizzata” o meno del tributo di volta in volta interessato (cfr., fra tutte, Cass. SS.UU. n. 24823/2015).

Ai fini del riconoscimento, da parte del Giudice tributario, dell’invalidità dell’atto impositivo erariale (ove controverso in un successivo processo), era stato come noto richiesto l’assolvimento della “prova di resistenza” da parte del contribuente (per i tributi armonizzati); oppure (per i tributi non armonizzati) la previsione, da parte di una specifica disposizione normativa disattesa dall’Amministrazione finanziaria, dell’obbligo di svolgimento del contraddittorio di cui si ragiona.

Paradossalmente, la centralità dell’istituto in commento era stata affermata in più occasioni anche dalla medesima Agenzia delle Entrate (veggansi, in proposito, le Circolari nn. 32/E del 19.10.2006 e 16/E del 28.4.2016); ciò in quanto ritenuta necessaria ai fini di una maggiore “credibilità” della pretesa tributaria avanzata, anche nell’ottica di una “parità” fra le parti del rapporto tributario.

In ogni modo, nel corso degli ultimi cinque anni, anche la giurisprudenza di merito ha avuto plurime occasioni di pronunciarsi in proposito.

Focalizzandosi, per ragioni di brevità, su quelle più recenti, si segnala che la sentenza n. 146 del 17.6.2020 della C.T.P. di Reggio Emilia ha sancito l’illegittimità di avvisi di accertamento relativi a tributi non armonizzati stante la mancata instaurazione del contradditorio preventivo con il contribuente.

I Giudici tributari reggiani, nell’occasione, hanno censurato la condotta tenuta dall’Ufficio in sede precontenziosa (stante l’intervallo di 11 mesi fra la prima e ultima richiesta di chiarimenti rivolta al contribuente); la quale aveva di fatto vanificato il principio di collaborazione fra il Fisco ed il contribuente.

Quasi discostandosi dalle accennate, precedenti pronunce di legittimità, la C.T.P. di Reggio Emilia ha affermato che l’assenza di un obbligo di contradditorio preventivo per i tributi non armonizzati determinerebbe un’insostenibile “discriminazione a rovescio“; rendendosi necessaria, ai fini di una lettura costituzionalmente orientata della normativa vigente, l’estensione al contribuente dell’onere di fornire la cd. prova di resistenza anche per siffatti tributi.
In ogni modo, l’introduzione del nuovo art. 5-ter del D. Lgs. n. 218/1997 (in vigore per gli atti impoesattivi emessi dal 1.7.2020) non pare aver sciolto, ad oggi, i dubbi in materia.

L’intento, dichiarato dal Legislatore, di introdurre l’istituto in senso favorevole al contribuente appare alla prova dei fatti smentito dalla lettera della disposizione; la quale finisce con il porre limitazioni alla sua effettiva applicazione.

Rimangono, infatti, esclusi dall’alveo applicativo del citato art. 5-ter gli avvisi di accertamento parziali e di rettifica parziale; le ipotesi di grave urgenza e di fondato pericolo per la riscossione; i casi di rilascio di copia al contribuente del processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica; le residuali ipotesi in cui è già prevista la partecipazione del contribuente prima dell’emissione dell’atto.

A tal proposito, si rileva che il novellato art. 5 del medesimo D. Lgs. prevede la proroga di 120 giorni in favore dell’A.E; ciò nel caso in cui, fra la data di comparizione del contribuente indicata nell’invito e quella di decadenza del potere impositivo, intercorrano meno di 90 giorni.

In ogni caso, ai fini della declaratoria giudiziale di illegittimità degli atti impoesattivi controversi, il predetto art. 5-ter richiede al contribuente di fornire la “prova di resistenza“; cioè di addurre le ragioni concrete che avrebbe potuto far valere se il dialogo preventivo con l’Ufficio fosse stato attivato.

Si determina, dunque, il superamento della distinzione (di matrice giurisprudenziale) tra i tributi armonizzati e non; con l’allineamento del trattamento tra quelli interni e quelli eurounitari.
Unico onere più stringente, posto in capo all’Amministrazione finanziaria dalla nuova normativa, risulta essere l’obbligo di “motivazione rafforzata“; necessario per gli avvisi di accertamento notificati dall’A.E. in seguito alla mancata adesione.

Tuttavia, tale quadro normativo parrebbe esser controbilanciato dai chiarimenti forniti dall’A.E. nella circolare n. 17/E del 22.6.2020 (ove si forniscono agli Uffici le indicazioni operative al fine di rendere effettivo lo svolgimento del contraddittorio).

Si invita, infatti, gli uffici a non attivare il contradditorio in prossimità della scadenza dei termini decandenziali; nonché a motivare adeguatamente la propria pretesa.




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