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Lo sfruttamento delle rassegne stampa: una storia infinita

By 8 Giugno 2020



Commento a cura dell’ Avv. Luciano Daffarra, C-Lex Studio Legale


La vicenda dell’utilizzazione degli articoli dei giornali che ha interessato e coinvolge gli editori del settore segna in questi giorni il proprio apice con i sequestri preventivi penali ordinati dai GIP di Bari, Milano e Roma nei confronti dei detentori di oltre un centinaio di canali ospitati dalla piattaforma di messaggistica on-line telegram.

La tutela degli articoli dei giornali avverso la loro utilizzazione non autorizzata da parte di soggetti “disinvolti” che sfruttano il lavoro altrui a proprio vantaggio, ha riaperto anche l’annosa vicenda delle rassegne stampa, una questione da tempo dibattuta e non ancora del tutto chiarita, avuto riguardo alla legittimità e ai limiti relativi all’utilizzazione di questo prezioso strumento di informazione per le aziende e per gli uffici pubblici del nostro paese.

Anzitutto ai fini di questo sintetico esame del problema, è utile stabilire il significato del termine “rassegna stampa“: la sua definizione ci è offerta dall‘art. 10 della Convenzione dell’Unione di Berna sul diritto d’autore (di seguito C.U.B.) che dichiara lecite le “citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne stampa a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo“.

Nella pratica quotidiana la rassegna stampa è costituita da una selezione di articoli che sono rivolti non al pubblico in generale, ma a beneficio di soggetti determinati i quali, in quanto operanti in un determinato settore, sono interessati ad essere ragguagliati circa il contenuto dei più importanti e autorevoli articoli che sono stati pubblicati da giornali e riviste a ridosso temporale degli eventi che li riguardano.

La questione di fondo che si pone e che tuttora agita le due sponde opposte è la seguente: gli autori e gli editori degli articoli che vanno a fare parte della rassegna stampa hanno diritto di opporsi allo sfruttamento del frutto del loro lavoro fatto dai gestori dei servizi che la realizzano?

Essi hanno comunque diritto a un'”equa remunerazione” per tali utilizzazioni? Come sopra cennato, in assenza di accordi inter partes, il problema è stato più volte portato all’attenzione della giustizia civile ma, seppure nell’anno 2017 si sia pervenuti a un provvedimento analitico e ampiamente motivato , le decisioni finora rese dalla magistratura non convincono pienamente.

In particolare, con riferimento al giudicato del tribunale di Roma sopra citato – che rappresenta la più recente e accreditata decisione in materia – non appare del tutto chiara la ragione per cui le rassegne stampa possano riprodurre contenuti che sono frutto dell’umana conoscenza e dell’intelletto di chi scrive gli articoli che le compongono, senza che questo conduca a un riconoscimento economico a beneficio dei detentori dei diritti.

Un tale fatto appare ancor più grave nel contesto attuale in cui le rassegne sono realizzate su supporti digitali, sono organizzate e suddivise per argomenti e vengono veicolate on-line agli utenti quasi allo stesso tempo della diffusione degli articoli da cui sono tratte.

Il tribunale capitolino, sulla base del caso portato alla sua attenzione da alcune imprese esercenti il servizio di rassegna stampa, è pervenuto alla conclusione che, alla luce delle norme vigenti e degli arresti delle corti nazionali e comunitarie sul tema, non vi sarebbe prova che gli articoli che compongono una rassegna stampa siano dotati della creatività richiesta dalla Legge Autore per godere di una tutela giuridica.

Allo stesso tempo, il loro uso da parte delle imprese coinvolte in tale attività non configurerebbe un atto di concorrenza sleale verso gli editori per l’assenza di un mercato che accomuni la distribuzione dei giornali, da una parte, e quello dei destinatari delle rassegne stampa, dall’altra. Inoltre, la realizzazione delle rassegne stampa non costituirebbe un atto di riproduzione degli articoli, né delle relative testate, in quanto i loro compositori si limiterebbero a un semplice “ritaglio” di una selezione di articoli suddivisi per area tematica, destinati ai soli clienti con il divieto per gli stessi di ulteriormente riprodurli.

In senso contrario a tali tesi si può osservare che i costitutori delle rassegne stampa – per utilizzare il termine usato dal collegio giudicante – si appropriano sistematicamente di contenuti altrui che non solo rappresentano il risultato del lavoro intellettuale dei loro autori ma i medesimi, per essere realizzati, richiedono investimenti significativi sia per l’acquisizione delle fonti che per la remunerazione dei giornalisti, delle redazioni e degli stessi compositori e stampatori, questi ultimi necessari anche per la pubblicazione digitale.

Sul piano giuridico, il ragionamento dei magistrati non convince del tutto a parere di chi scrive quando essi, nel prendere in esame l’art. 10 della Convenzione di Berna, omettono di valutare la limitazione posta dalla norma nell’uso delle rassegne stampa secondo cui il loro impiego deve avvenire “conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo“. Tale inciso – su cui non pare esservi stata una esaustiva lettura interpretativa da parte dei giudici – costituisce non solo un faro per gli interpreti, volto a fare sì che essi circoscrivano le utilizzazioni delle rassegne stampa a fattispecie che non si traducano in massivi sfruttamenti dei contenuti selezionati su larga scala, ma rappresenta anche un evidente richiamo ai principi stabiliti dall’art. 9.2 della C.U.B.. Tale ultima disposizione, nel consentire agli Stati aderenti al trattato il diritto di porre eccezioni al diritto esclusivo di riproduzione, consente che ciò avvenga purché ciascun atto di riproduzione “non rechi danno allo sfruttamento normale dell’opera e non causi un pregiudizio ingiustificato ai legittimi interessi dell’autore“. Questa regola si applica de plano anche alle fattispecie di cui all’art. 10 del C.U.B. e, quindi, anche alle rassegne stampa, come spiegato dal WIPO nel documento illustrativo degli standard applicabili alla proprietà intellettuale (Standards Concerning Intellectual Property Rights Par. 51, Doc. 464 dell’ottobre 1996 che chiarisce si estende alle disposizioni della C.U.B. anche il dettato dell’art. 13 dei TRIPs connotato dal medesimo tenore dell’Art. 9.2 del testo della convenzione di Berna.)

A tale stregua risulta difficile considerare lecito l’uso che viene ad oggi fatto delle rassegne stampa, tanto da escludere che i detentori dei diritti sui loro contenuti non subiscano un pregiudizio agli interessi di cui sono portatori. Infine, avuto riguardo al capo della sentenza che qui si commenta in cui si auspica un intervento legislativo in materia, va detto che ad oggi non sono mancati nel nostro paese gli sforzi volti ad approvare disposizioni a tutela delle rassegne stampa, a cominciare dal DDL C-4953-bis del lontano 1998 il quale, nel corso del voto in sede parlamentare del 20 giugno 2000 vide stralciata proprio la disposizione riguardante tale materia in quanto si ritenne, da parte dei membri della Commissione deliberante che votò lo stralcio, che il libero sfruttamento delle rassegne stampa facesse da “propaganda” alla vendita dei giornali, oltre a non risultare opportuna poichè l’acquisto dei diritti su tali raccolte di articoli diffuse ai dipendenti della pubblica amministrazione avrebbe costituito un onere per il bilancio dello Stato.

Non migliore sorte parlamentare ha avuto l’art. 4 della PDL 1269 del 9 giugno 2008 (volto a disciplinare il settore dell’editoria) che aveva previsto il riconoscimento di un compenso agli autori e agli editori degli articoli contenuti nelle rassegne stampa, ma che non ha avuto seguito essendo caduto nel nulla l’intera proposta di legge.




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