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Illegittimo il diritto di richiedere alle Societa’ medico scientifiche le fatture emesse a favore di enti congressuali o case farmaceutiche al fine di verificare la sussistenza di conflitti di interesse

By 3 Luglio 2020



di Giovanni Pasceri – Francesca Guercio

1) Premessa; 2) Le previsioni normative; 3) Sull’attività di interesse pubblico svolta dalle società medico scientifiche; 4) Accesso agli atti amministrativi: “accesso semplice” e “accesso civico generalizzato”; 5) Conclusione.


1) Premessa

Si ripete ciclicamente la richiesta di varie Associazioni di categorie di consumatori rivolte alle Società Medico Scientifiche, iscritte nell’elenco previsto presso l’Istituto Superiore di Sanità, di accedere alle copie delle fatture relative ai rapporti commerciali intrattenute da queste con Enti congressuali o Case Farmaceutiche o Aziende Biomediche.
Lo scopo della richiesta è finalizzata a valutare la sussistenza di conflitti di interesse tra Società scientifiche e Enti congressuali e/o Aziende farmaceutiche o biomediche in ragione al “funzione amministrativa” che le Società medico scientifiche avrebbero acquisito, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 24/2017 e dal Decreto Ministeriale 2 agosto 2017, partecipando al Sistema Nazionale delle Linee Guida.


2) Le previsioni normative

La legge n. 24/2017 all’art. 5 “Buone pratiche clinico-assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida” prevede:


1. Gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da aggiornare con cadenza biennale. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali.

2. Nel regolamentare l’iscrizione in apposito elenco delle società scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche di cui al comma 1, il decreto del Ministro della salute stabilisce:
a) i requisiti minimi di rappresentatività sul territorio nazionale;


b) la costituzione mediante atto pubblico e le garanzie da prevedere nello statuto in riferimento al libero accesso dei professionisti aventi titolo e alla loro partecipazione alle decisioni, all’autonomia e all’indipendenza, all’assenza di scopo di lucro, alla pubblicazione nel sito istituzionale dei bilanci preventivi, dei consuntivi e degli incarichi retribuiti, alla dichiarazione e regolazione dei conflitti di interesse e all’individuazione di sistemi di verifica e controllo della qualità della produzione tecnico-scientifica;

c) le procedure di iscrizione all’elenco nonché le verifiche sul mantenimento dei requisiti e le modalità di sospensione o cancellazione dallo stesso.

3. Le linee guida e gli aggiornamenti delle stesse elaborati dai soggetti di cui al comma 1 sono integrati nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG), il quale è disciplinato nei compiti e nelle funzioni con decreto del Ministro della salute, da emanare, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con la procedura di cui all’articolo 1, comma 28, secondo periodo, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. L’Istituto superiore di sanità pubblica nel proprio sito internet le linee guida e gli aggiornamenti delle stesse indicati dal SNLG, previa verifica della conformità della metodologia adottata a standards definiti e resi pubblici dallo stesso Istituto, nonché della rilevanza delle evidenze scientifiche dichiarate a supporto delle raccomandazioni.

4. Le attività di cui al comma 3 sono svolte nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi
o maggiori oneri per la finanza pubblica.

In seguito alle predette disposizioni, il Ministero della Salute ha emanato il Decreto Ministeriale 2 agosto 2017 con il quale ha definito all’art. 2 i criteri che le Società Medico Scientifiche devono possedere per poter essere inserite nell’elenco istituito presso l’Istituto superiore di sanità pubblica.

Ai fini dell’iscrizione le società scientifiche e le associazioni tecnico-scientifiche, secondo le predette disposizioni, devono godere di autonomia e indipendenza, l’assenza di finalità di lucro salve le necessarie attività svolte nell’ambito del programma nazionale di formazione continua in medicina (ECM). Per l’effetto, la norma definisce l’obbligo di trasparenza nella formazione dei bilanci nonché misure volte ad evitare possibili conflitti di interesse con i partners che collaborano per la realizzazione dell’evento scientifico-formativo.

Dalla lettura delle previsioni normative non pare emergere uno specifico divieto, assoluto o relativo, all’intrattenimento di rapporti di natura patrimoniale o di obbligazioni con le Società farmaceutiche, biomediche o con Enti congressuali così come non emerge un divieto per le Società scientifiche ad intrattenere rapporti di collaborazione con Case farmaceutiche o biomediche che, nei limiti di quanto previsto dalla normativa vigente, partecipano a contribuire, in modo trasparente, alla realizzazione dei fini scientifici e statutari delle società medico scientifiche.

Peraltro, è bene ricordare che la giurisprudenza formatasi sull’art. 2236 del codice civile individua la responsabilità professionale non solo qualora sia stata violata l’ars medica ma anche quando questa sia derivante da imperizia nell’ipotesi in cui il caso sottoposto al sanitario non sia stato ancora studiato a sufficienza, o non sia stato ancora dibattuto con riferimento ai metodi da adottare (tra le tante: Cass. 13 gennaio 2005, n. 583; Cass. 16 febbraio 2001 n. 2335, Cass. 18 novembre 1997 n. 11440, Cass. 12 agosto 1995 n. 8845, Cass. 11 aprile 1995 n. 4152, Corte Cost. 22 novembre 1973 n. 166).

Immaginare, dunque, lo svolgimento di sessioni di studio o congressuali senza l’apporto economico di sponsors appare una ipocrisia intellettuale.

Per la produzione e la divulgazione scientifica, le società medico scientifiche, oltre l’attività di divulgazione editoriale, tradizionalmente ricorrono a gruppi di studio, singoli corsi monotematici ovvero convegni scientifici o i corsi E.C.M. i quali sono già soggetti –come è noto- a rigorose norme restrittive nonché ad una precipua disciplina emanata da AIFA e dalla stessa ANAC.

Non può trarsi, dunque, dalla legittima collaborazione tra società scientifica e azienda farmaceutica una presunzione di conflitto di interesse, sia in ragione alla necessaria correlazione tra ricerca e industria, sia per il fatto che le norme sottese e i codici di comportamento dell’industria farmaceutica (Codice Confindustria) e di quella biomedica (Codice Assobiomedica) delimitano chiaramente i contorni dei rapporti “negoziali”. Rapporti, peraltro, accompagnati da pesanti sanzioni penali e da responsabilità amministrativa da reato ex d. leg. n. 231/2001. Medesime considerazioni possono essere fatte per gli Enti congressuali la cui presenza è resa necessaria proprio per garantire una separazione tra organizzazione scientifica e l’organizzazione dell’evento congressuale. La richiesta di accedere alle fatture al fine di valutare un possibile conflitto di interesse, appare peraltro singolare nella sua motivazione posto che, alla luce delle disposizioni di legge, difficilmente una qualsiasi casa farmaceutica o biomedica dichiarerebbe nelle medesime fatture la propria posizione di conflitto, anche qualora fosse effettivamente sussistente.

Peraltro, l’istituzione dell’Albo delle società medico scientifiche ha proprio quale finalità quella di valutare la trasparenza dei bilanci, la democraticità interna, la rappresentatività dei professionisti di quella branca specialistica che si vuole rappresentare, i rapporti con analoghe società scientifiche internazionali e, infine, l’assenza di conflitti di interessi con le multinazionali del farmaco.

Dette valutazioni sono fatte preventivamente dal Ministero della Salute e, successivamente, riguardo alla validità scientifica delle linee guida (dunque non di interessenza con le case farmaceutiche), dal massimo organo scientifico italiano che è l’Istituto Superiore di Sanità.
Dallo stesso elenco delle società scientifiche ammesse emerge che per le medesime branche sussistono anche cinque/sei diverse società medico-scientifiche.

Nondimeno, essendo le linee guida norme per definizione di “massima perizia” difficilmente possono essere influenzate da una o più Case farmaceutiche o biomediche.

L’indicazione dell’utilizzo di uno o più principi attivi all’interno della raccomandazione emanata dalla società medico scientifica potrebbe riguarderebbe piuttosto la somministrazione e la posologia posto che, diversamente, questa si troverebbe a discostarsi dagli studi scientifici e dalle ricerche e esperienze scientifiche svolta fuori dai confini nazionali. In tal modo, l’influenza che si vorrebbe negare si dimostrerebbe certamente inidonea allo scopo prefissato dall’art. 5 della legge n. 24/2017, con irreparabile discredito della società medico scientifica stessa.

Affermare il contrario denota una certa, mancata conoscenza circa la produzione della linea guida medico scientifica che, come è noto, ha quale obiettivo fondamentale quello di assicurare il massimo grado di appropriatezza clinica della prestazione sanitaria o della dispensa farmaceutica La stessa Cassazione, con sentenza n. 23283/2016, ricorda che “analizzando il tema relativo alla natura e al contenuto delle linee guida, occorre considerare che, secondo gli approdi della comunità scientifica internazionale, esse costituiscono raccomandazioni di comportamento clinico elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche”

La singola linea guida, dunque, per definizione, difficilmente può discostarsi da quelle internazionali o dalla pratica clinica consolidata in mancanza di una diversa e acclarata (anche qui a livello internazionale) evidenza scientifica.


3) Sull’attività di interesse pubblico svolta dalle società medico scientifiche

Contrariamente a quanto in passato si è sostenuto, l’adesione alle linee guida non determina affatto una de-responsabilizzazione del sanitario, sia per il tenore della stessa legge n. 24/2017, richiamando l’adeguatezza delle linee guida alle specificità del caso concreto, sia in ragione della nota sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 22 febbraio 2018 (ud. 21 dicembre 2017), n. 8770. la quale delimitato la portata della predetta norma.

Diversamente argomentando dovrebbe ammettersi che il sanitario non ha più libera scelta con il paradosso di banalizzare la prestazione sanitaria e l’accertamento della responsabilità del professionista: “rispetto delle linee guida” equivale a “esenzione della colpa”. La giurisprudenza ha escluso categoricamente che le linee guida possano essere considerate alla stregua di norme di legge tant’è, che il sanitario risponde in caso di malpracties per colpa generica e non per colpa specifica.
Le linee guida, dunque, non sono cogenti e tassative e la loro produzione, per loro natura, è continuamente messa in discussione dagli operatori sanitari sul campo, da una “valutazione tra pari” o di “verifica a doppio cieco”, “esame obiettivo” dei campioni etc.
Poste queste preliminari premesse occorre, dunque, smentire la “vulgata” circa il fatto che il Ministero della Salute abbia delegato alle Società medico scientifiche la produzione delle linee guida per molteplici ragioni.

Nella legge n. 24/2017 e nel successivo Regolamento ministeriale non si rinviene alcuna delega ministeriale alle società scientifiche. Al contrario, l’art. 5, comma 3, della Legge n. 24 del 2017 chiaramente prevede che l’Istituto superiore di sanità pubblica, deve verificare la conformità della metodologia adottata agli standard definiti ….. nonché la rilevanzadelle evidenze scientifiche dichiarate a supporto delle raccomandazioni. Solo se la linea guida proposta dalla singola Società scientifica superi il vaglio dell’Istituto Superiore di Sanità può integrare il Sistema Nazionale delle Linee Guida.

Ciò non esclude la rilevanza e la scientificità delle linee guida di società medico scientifiche che non siano iscritte all’Albo ministeriale e allo stesso tempo non determina, per la loro iscrizione, la circostanza che la produzione di linee guida delle società iscritte sia tout court integrata nelle linee guida nazionali (SNLG) da parte dell’Istituto Superiore di Sanità.
E’ evidente che, anche sotto questo profilo, non v’è alcuna delega né formale né sostanziale, posto che diversamente dovrebbe ammettersi che l’ente delegante dovrebbe far proprie, de plano, le determinazioni del delegato.

In ultimo, a dirla tutta, la valutazione dell’aderenza delle linee guida non è nemmeno del Ministero della Salute o dell’Istituto di Sanità, ma del Giudice e, per esso, del Consulente Tecnico d’Ufficio. E’ proprio il contenzioso stesso che si incaricherebbe di invalidare (con sentenza!) la linea guida e denunciare l’inutilità della specifica raccomandazione dell’una e dell’altra società scientifica.

4) Accesso agli atti amministrativi: “accesso semplice” e “accesso civico generalizzato”

L’istanza di accesso agli atti è radicata alle (sole) previsioni della l. n. 241/90 cd. “accesso amministrativo” e al d. lgs n. 33/2013 nonché al d. lgs n. 97 del 2016 relativi all’accesso civico c.d. ‘semplice’ (art. 5, comma 1) e all’accesso civico c.d. ‘generalizzato’ (art. 5, comma 2), cosicché l’istanza soggiace, oltre che ai limiti di cui all’art. 24 della l. 241/1990, alla rigorosa
disamina della posizione legittimante del richiedente anche ad un accesso senza l’ostentazione tipica di quell’interesse concreto, attuale e diretto del singolo interessato in quanto l’accesso civico (semplice o generalizzato) consente a chiunque di accedere a dati, documenti e informazioni delle pubbliche amministrazioni senza la necessità di documentare un interesse qualificato che lo legittima ad esercitare l’accesso.

Lo scopo finale è quello di rendere concreto ed attuale il diritto alla trasparenza della pubblica amministrazione un principio spesso dimenticato e confinato sui soli testi normativi.
L’accesso civico “semplice” consente a chiunque di richiedere documenti, dati o informazioni che le amministrazioni hanno l’obbligo di pubblicare nella sezione “amministrazione trasparente” dei propri siti istituzionali, nei casi in cui gli stessi non siano stati pubblicati (art. 5, comma 1), mentre l’accesso civico “generalizzato” consente a chiunque di richiedere dati e documenti ulteriori rispetto a quelli che le amministrazioni sono obbligate a pubblicare (art. 5, comma 2).

Ci si soffermerà, pertanto, solo sul primo istituto, ossia sull’accesso documentale (l. n. 241/90), limitandosi a riferire che il Consiglio di Stato, Sez. VI, con sentenza n. 5515 del 2013 ha precisato che: “Al riguardo sembra opportuno sottolineare in primo luogo che le nuove disposizioni, dettate con d. lgs. 14.3.2013, n. 33 in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, disciplinano situazioni non ampliative né sovrapponibili a quelle che consentono l’accesso ai documenti amministrativi, ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge 7.8.1990, n. 241, come successivamente modificata ed integrata.”

Diversi invero sono i presupposti che connotano i casi di c.d. “accesso civico” ex art. 5 del d. lgs n. 33/2013, che tuttavia presuppongono la sussistenza di un obbligo di pubblicazione dell’atto di cui si chiede l’accesso secondo il principio di diritto già delineato con dal Cons. St., VI, 20 novembre 2013 n. 5515.

E ancora diversi sono i presupposti che disciplinano l’accesso c.d. generalizzato (art. 5, comma 2, d. lgs n. 33/2013, come modificato dal d. lgs n. 97/2016: “chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione” che svincola il diritto di accesso da una posizione legittimante differenziata (art. 5 del decreto n. 33 del 2013 nel testo novellato) e, al contempo, sottopone l’accesso ai limiti previsti dall’articolo 5 bis.

In tal caso, l’Amministrazione intimata dovrà in concreto valutare, se i limiti ivi enunciati siano da ritenere in concreto sussistenti, nel rispetto dei canoni di proporzionalità e ragionevolezza, a garanzia degli interessi ivi previsti e non potrà non tener conto, nella suddetta valutazione, anche
delle peculiarità della posizione legittimante del richiedente.

Attenendoci, invece, all’istituto che deve avere qui risalto, l’art. 22 della legge n. 241/1990 assoggetta alla disciplina riguardante l’accesso alla documentazione amministrativa oltre che le pubbliche amministrazioni anche “i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario” e qualifica come atti amministrativi, a questi fini, anche gli atti “interni… concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”. Il successivo art. 23 della predetta Legge dispone che “il diritto di accesso di cui all’articolo 22 si esercita nei confronti … dei gestori di pubblici servizi”.

Il diritto di accesso agli atti amministrativi necessita di una motivazione e di un interesse specifico del soggetto richiedente, collegato e connesso alla difesa ed alla tutela della propria posizione giuridica.

Oggetto dell’accesso deve riguardare un documento amministrativo.

Il diritto di accesso ha ad oggetto i “documenti amministrativi”, intendendosi con tale termine «ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale» (art. 22, comma 1, lettera d), l. n. 241/90).

La medesima norma, più precisamente, definisce, in senso negativo, la nozione di documento amministrativo accessibile prevedendo il medesimo art. 22, al comma 4, che: “Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, ……., in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono”.

E’ evidente che le fatture in parola non costituiscono atto amministrativo e come tali non possono essere oggetto di accesso amministrativo ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/90 né tantomeno di accesso civico semplice o generalizzato mancando i presupposti oggettivi per esercitare legittimamente l’accesso.

Nel caso di specie la richiesta di accesso agli atti amministrativa così come formulata, volta a conoscere le fatture degli ultimi cinque anni a favore di organizzazioni congressuali o case farmaceutiche, appare chiaramente generica e meramente esplorativa. In detti casi, come ci ricorda il T.A.R. sez. I, Trieste, 22/09/2018, n. 303, il diritto all’accesso ai dati si scontra con il principio di pertinenza e di sostanziale interesse rispetto al dato richiesto.
Peraltro, la richiesta non riguarda un “atto amministrativo” ma documenti contabili inerenti attività legittime e non direttamente e immediatamente ricollegabili allo scopo per cui l’accesso è richiesto.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha altresì precisato che l’esigenza di garantire l’attuazione degli obiettivi, perseguiti dalla legge n. 241/1990, si pone solo quando l’Ente privato si presenti come Autorità nel senso che questi debba esercitare potestà pubbliche o goda di una particolare posizione di supremazia (intesa come decisione o potere connesso) che nel caso di specie non pare proprio sussistere per le società medico scientifiche. Peraltro, sul punto, si ricorda che anche il soggetto privato (art. 5 della legge n. 24/2017) può emanare raccomandazioni scientifiche o produrre linee guida.

A ben guardare molte linee guida nascono proprio dalla ricerca farmaceutica e alla stessa, anche ai sensi del citato articolo, non è impedito emanare linee guida.

Il Consiglio di Stato, poi, ha stigmatizzato le implicazioni negative che un ampliamento del diritto di accesso all’attività di diritto privato comporterebbe sul piano dei rapporti concorrenziali tra i vari soggetti svolgenti la medesima attività con le stesse modalità e lo stesso fine di lucro. La pubblicazione dei costi attivi e passivi determinerebbe una chiara violazione del regime di concorrenza e di libertà negoziale (in tal senso Cons. Stato, sez. IV, 5 giugno 1995, n. 412).
Risulta poi difficile poter individuare una connessione funzionale tra elaborazione delle linee guida e la gestione congressuale posto che questa non può incidere, chiaramente, sull’efficienza, appropriatezza e qualità delle raccomandazioni delle società scientifiche frutto di una elaborata e articolata produzione di dati scientifici che vengono comparati e analizzati da soggetti alla pari e successivamente da soggetti terzi ed infine valutati dall’Istituto Superiore di sanità.

Chiaramente resta ferma la possibilità di ANAC, Autorità Nazionale Anticorruzione, quale Autorità deputata, ai sensi della legge 11 agosto 2015, n. 114 e in relazioni alle funzioni di vigilanza e alle prerogative proprie previste dalla normativa vigente, di acquisire a campione o per tutte le società medico scientifiche iscritte all’Albo nazionale istituito dal Ministero della Salute ed anche le altre Società Medico Scientifiche di esercitare non iscritte all’Albo, ogni opportuna verifica e ispezione. Tale verifica può essere eseguita autonomamente e liberamente dalla Autorità Nazionale Anticorruzione e, dunque, senza il sollecito di terzi.

5) Conclusione

Alla luce di quanto sopra, per le ragioni esposte e sulla base di un orientamento teleologicamente orientato a bilanciare gli effettivi interessi in contrasto e la natura giuridica dei rapporti, la richiesta da parte di associazione di tutela dei consumatori di richiedere alle società medico scientifiche iscritte nell’elenco previsto dall’art. 5 della legge n. 24/2017 di accedere alle fatture degli ultimi cinque anni emesse o ricevute da Enti congressuali o Case farmaceutiche al fine di verificare la sussistenza di conflitti di interesse appare illegittima.

Il diniego di accesso dovrà essere necessariamente motivato, facendo riferimento: i) all’art. 22, comma 1, lett. b), l. 241/90 il quale prevede che il soggetto interessato deve avere un interesse “diretto, concreto e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” e tale interesse non si configura nel contesto attuale, atteso che Associazione di consumatori chiede l’accesso a documenti che non solo non sono annoverabili quali documenti amministrativi di cui all’art. 22, lett. d) della legge n. 241/90 ma nemmeno sono tali da denotare un collegamento con gli interessi dei quali l’associazione è portatrice; la legittimazione all’accesso deve, infatti, essere riconosciuta a chiunque possa dimostrare che i “documenti” richiesti abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei propri confronti; ii) le fatture, infatti, non sono tali da rappresentare, in via immediata e diretta, una tutela degli interessi dei quali l’associazione richiedente è portatrice, non essendo connesse con una precisa situazione giuridica; iii) le fatture richieste relative all’ultimo quinquennio ed emesse a favore di soggetti terzi quali organizzazioni congressuali o case farmaceutiche, inoltre, sono emesse nei confronti di soggetti terzi (e dunque titolari del diritto alla
riservatezza suscettibile di lesione) cosicché la loro esibizione (comunque non dovuta) comporterebbe conseguenze anche sotto il profilo della violazione della legge sulla privacy; iv) dalla lettura della legge n. 24/2017, le società medico scientifiche non operano in regime di autorità pubblica o di supremazia amministrativa sicché anche da un punto strettamente soggettivo la richiesta dovrà rigettarsi. Ne consegue che non sussiste il diritto di accedere alle fatture richieste, atteso che, pur dovendosi riconoscere la legittimazione delle Associazioni dei Consumatori ad esercitare il diritto di accesso ai documenti amministrativi in relazione ad interessi che pertengono ai consumatori e utenti di pubblici servizi, l’art. 22 della legge 7 agosto 1990 n. 241 non ha introdotto alcun tipo di azione popolare diretta a consentire una sorta di controllo generalizzato ed esplorativo sull’operato dell’amministrazione o dei soggetti alla stesse equiparati.

Prof. Avv. Giovanni Pasceri

Avvocato Cassazionista, perfezionato in “Diritto delle assicurazioni” e “Diritto dell’impresa” presso l’Università degli Studi di Milano. Ha seguito con successo il Corso di formazione in Machine Learning dell’Università di Londra e U.S. Public Policy: Social, Economic, and Foreign Policies dell’Università di Harvard.
Ha prestato consulenza giuridica-amministrativa per il C.I.S.A.M. Centro Interforze Studi e Applicazioni Militari. Ha partecipato all’audizione alla Camera dei Deputati e a diversi tavoli tecnici Ministeriali in tema di responsabilità.
Docente di Diritto Sanitario in diversi corsi e master universitari.
Professore a contratto di diritto amministrativo al Master di I livello in “Amministratore di sistemi informativi dell’area radiologica e per immagini”, Facoltà di Medicina, presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

Svolge con regolarità relazioni sul tema della responsabilità professionale e sul diritto assicurativo ed è autore o coautore di numerose monografie, articoli e pubblicazioni scientifiche.
E’ membro della Commissione dell’Ordine degli Avvocati di Milano Intelligenza Artificiale e PCT.


Avv. Francesca Guercio

Avvocato amministrativista dal 1994. Si occupa in particolare di diritto urbanistico e pianificazione territoriale, edilizia e tutto ciò che concerne la disciplina del territorio, con competenze estese anche all’ambiente, all’inquinamento, al paesaggio, al demanio, all’esproprio, all’edilizia pubblica residenziale, alla responsabilità contabile per danno erariale, al diritto civile applicato all’edilizia e urbanistica. Si occupa, altresì, di appalti di lavori e servizi pubblici.
Svolge attività di consulenza e supporto anche presso amministrazioni comunali mediante attività di consulenza stragiudiziale e assistenza giudiziale.
Dal 1994 al 2013 ha collaborato costantemente alla rivista ‘Repertorio di Urbanistica ed Edilizia’ (di Riccardo delli Santi e Daniela Viva), pubblicata anche su DVD da Il Sole 24 Ore, con cadenza quadrimestrale, curando l’aggiornamento della giurisprudenza e della legislazione e partecipando alla redazione di commenti e definizioni di tutti i temi trattati dalla rivista.




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