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Il diritto di accesso generalizzato ex art.5 del d.lgs. n.33/2013 ed i limiti del suo esercizio. Brevi note sulla decisione n. 8615/2020 del TAR Lazio

By 30 Luglio 2020



Avv. Antonio Martini (patrocinante in Cassazione)*


La decisione n. 8615 emessa dal Tar Lazio il 22 luglio 2020 presenta molteplici profili di interesse.


Si coglie l’obiettivo del collegio di operare una sistemazione dogmatica dell’istituto dell’accesso civico generalizzato nell’ambito del sistema ordinamentale di tutela della trasparenza amministrativa, ma anche di affrontare, sia pure in via incidentale, il delicato tema della qualificazione giuridica della decretazione amministrativa di urgenza, il perimetro della legittimità di quegli atti e la loro collocazione nel sistema delle fonti.


Il fatto. Una compagine di cittadini faceva istanza di accesso civico generalizzato, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del d.lgs n. 33/2013, per ottenere l’ostensione di nn. 5 verbali del Comitato Tecnico Scientifico nominato ai sensi dell’art. 2 dell’O.C.D.P.C. n. 360/2020 ( ordinanza del Capo della Protezione Civile), composto dai principali Dirigenti del Ministero della Salute e di altri Ministeri, dal Presidente dell’ISS (istituto superiore di sanità) e AIFA (Agenzia Italiana per il Farmaco).


I documenti oggetto della istanza erano costituiti dai verbali delle riunioni del Comitato Tecnico Scientifico, richiamati come uno dei presupposti dei DDPCM, emessi rispettivamente in data 1 marzo 2020, 8 marzo 2020, 1 aprile 2020 e 10 aprile 2020.


Il verbale del 7 marzo del Comitato Tecnico Scientifico è peraltro il presupposto anche del DPCM emesso in data undici marzo 2020, perché espressamente richiamato dal testo, che ha esteso all’intero territorio nazionale le straordinarie limitazioni dei diritti di libertà costituzionali previste nel DPCM dell’otto marzo 2020 per le zone c.d. “rosse“.


L’istanza di accesso veniva rigettata dal Dipartimento della Protezione civile sulla motivazione che i citati verbali del Comitato Tecnico Scientifico sarebbero stati sottratti all’accesso ai sensi del combinato disposto di cui all’ articolo 5-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 33/2013 con l’art. 24, comma 1, della L. n. 241/1990, nonché in virtù dell’art. 1, comma 1, lett. b) del DPCM n. 143/2011.


Il Dipartimento, in particolare, richiamava l’art.24 comma 1, della legge n. 241 del 1990 che esclude il diritto di accesso: “nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione“, in forza della qualificazione di atti normativi assegnata ai DDPCM.


I ricorrenti esponevano una teoria di censure avverso il diniego di ostensione, contestando la natura di atti normativi e di atti normativi generali dei DDPCM, accostandoli piuttosto alle ordinanze contingibili ed urgenti di cui avrebbero tutte le caratteristiche. Sostenevano infine i ricorrenti che il difetto di conoscenza di quei verbali inciderebbe sulla possibilità di esercizio del diritto di difesa, venendo ad interferire all’interno del circuito Sovranità-Democrazia, ostacolando l’esercizio ordinario del controllo politico-democratico.


Con la decisione in commento il Tar Lazio, nell’accogliere la tesi dei ricorrenti, in una lettura di sistema dei temi proposti, ha disegnato il sistema generale dell’ accesso documentale nel contesto della tutela della trasparenza amministrativa ed ha delineato con estrema lucidità e chiarezza di contorni la natura dei DDPCM nell’ambito del sistema delle fonti ed i limiti ordinamentali del potere di decretazione amministrativa.


Con riferimento al diritto di accesso ha precisato : ” .. la giurisprudenza ha avuto modo di sottolineare, il rapporto tra le due discipline generali dell’accesso documentale e dell’accesso civico generalizzato non può essere letto unicamente e astrattamente, secondo un criterio di specialità e, dunque, di esclusione reciproca, ma secondo un canone ermeneutico di completamento/inclusione, in quanto la logica di fondo sottesa alla relazione tra le discipline non è quella della separazione, ma quella dell’integrazione dei diversi regimi, pur nelle loro differenze, “in vista della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo che rifugge in sé da una segregazione assoluta “per materia” delle singole discipline (Cons. Stato Sez. IV, 20/04/2020, n.2496)”.


Ha quindi evidenziato la ratio del sistema della disciplina dell’accesso documentale chiarendo : “..la ratio dell’intera disciplina normativa dell’accesso impone di ritenere che se l’ordinamento giuridico riconosce, ormai, la più ampia trasparenza alla conoscibilità anche di tutti gli atti presupposti all’adozione di provvedimenti individuali o atti caratterizzati da un ben minore impatto sociale, a maggior ragione deve essere consentito l’accesso ad atti, come i verbali in esame, che indicando i presupposti fattuali per l’adozione dei descritti DDPCM, si connotano per un particolare impatto sociale, sui territori e sulla collettività”.


Rilevanti ed illuminanti sono i segmenti motivazionali dedicati alla qualificazione dei DDPCM, di cui il Collegio esclude la natura di atti normativi e quella di atti amministrativi generali, rilevandone la peculiare atipicità, anche nella difficoltà dogmatica di accostamento alle ordinanze contingibili ed urgenti, per difetto di uno dei presupposti di tali strumenti di amministrazione attiva, ovvero la contingibilità :” …il Collegio che a tali DDPCM., e quindi a maggior ragione ai presupposti pareri adottati dal Comitato tecnico scientifico nominato ai sensi del D.L. 8 aprile 2020, non possa innanzitutto attribuirsi la qualificazione di atti normativi, tale da sottrarli all’accesso ai sensi dell’art. 24, comma 1, della legge n.241/1990 e dell’art. 1, comma 1 del DPCM n. 143/2011 (la cui impugnazione deve, dunque, ritenersi nel caso in esame ininfluente), in quanto privi del requisito dell’astrattezza e della capacità di innovare l’ordinamento giuridico.
Né può ritenersi, comunque, che si tratti di atti amministrativi generali – con i quali hanno in comune unicamente la caratteristica della generalità dei destinatari del pari sottratti alla disciplina dell’accesso in esame ai sensi delle disposizioni richiamate, non per intrinseche esigenze di “segretezza”, quanto piuttosto perché la legge assicura agli atti amministrativi generali e agli atti di pianificazione particolari forme di pubblicità e trasparenza.
Piuttosto, quanto ai DDPCM in argomento, va evidenziata la peculiare atipicità, che si connota da un lato per caratteristiche ben più assonanti con le ordinanze contingibili e urgenti… in quanto si tratta di provvedimenti adottati sulla base di presupposti assolutamente eccezionali e temporalmente limitati che, a differenza degli atti amministrativi generali tout court, consentono di derogare all’ordinamento giuridico anche imponendo, come nel caso in esame, obblighi di fare e di non fare (caratteristica questa che differenzia nettamente dagli atti amministrativi generali le ordinanze contingibili e urgenti, la cui giustificazione si rinviene nell’esigenza di apprestare alla pubblica utilità adeguati strumenti per fronteggiare il verificarsi di situazioni caratterizzate da eccezionale urgenza, tali da non consentire l’utile e tempestivo ricorso alle alternative ordinarie offerte dall’ordinamento), ma dalle quali si differenziano per la carenza del presupposto della “contingibilità”, atteso che i DDPCM in questione riproducono contenuti già dettagliatamente evidenziati nei DD.LL. attributivi del potere presupposti
“.


Rileva il Tribunale amministrativo, che in ragione della specifica natura di tali atti, ovvero tenuto conto della loro contenuto atipico e non disciplinato dalla legge, la loro possibilità di utilizzo è del tutto residuale, specialmente quando si rivelano idonei a comprimere diritti ed interessi dei privati di tal che la loro adozione richiede la previa e scrupolosa verifica dei presupposti per la loro emanazione, nel rispetto dei limiti di carattere sostanziale e procedurale, rilevandosi altrimenti del tutto ingiustificata la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi.


Precisa inoltre il collegio che “La possibilità di utilizzo, in via del tutto residuale, di tale strumento, recando con sé l’inevitabile compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli aventi un contenuto tipico e indicati dalla legge, impone il rigoroso rispetto di precisi presupposti, la cui ricorrenza l’Amministrazione è tenuta ad appurare attraverso un’accurata istruttoria, nel rispetto dei limiti di carattere sostanziale e procedurale, non giustificandosi, altrimenti, la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi (T.A.R. Napoli, (Campania) sez. V, 04/11/2019, n.5199; Cons. St., sez. V, 26 luglio 2016 n. 3369; id., 22 marzo 2016 n. 1189; id., 25 maggio 2015 n. 2967; Tar Campania, Napoli, sez. V, 9 novembre 2016 n. 5162; id., 10 settembre 2012 n. 3845; Tar Puglia, Bari, sez. I, 24 marzo 2015 n. 479).”


Il Tar ha assegnato il termine di trenta giorni all’amministrazione per consentire ai ricorrenti di prendere visione ed estrarre copia della documentazione richiesta con l’istanza di accesso di cui trattasi.


Sarà interessante conoscere il contenuto delle valutazioni del Comitato Tecnico Scientifico e la loro incidenza sul contenuto dei DDPCM con i quali il Governo ha fronteggiato l’emergenza sanitaria.


Lo scrutinio delle considerazioni formulate dal Comitato Tecnico Scientifico consentirà di valutare l’adeguatezza delle drastiche misure adottate con i DDPCM e se il contenuto delle prescrizioni imposte sia stato rispettoso e coerente con il principio di proporzionalità, oggi affermato nell’art. 5 del Trattato UE.


Se il principio di precauzione al pari del principio di proporzionalità costituiscono principi generali dell’attività amministrativa e concorrono alla formazione del concreto contenuto degli atti di amministrazione, allora il tenore delle valutazioni formulate dal Comitato Tecnico Scientifico sarà illuminante per valutare il rispetto dei principi ordinamentali da parte del Governo nella gestione della crisi.


Le misure precauzionali non sono basate su certezze assolute ma comportano un sacrificio spesso molto elevato di altri valori ed occorre che siano adottate attraverso il bilanciamento del principio di precauzione con il principio della proporzionalità.


Se l’applicazione del principio di precauzione si risolve in blocchi generalizzati di attività di ogni tipo, non fondati su adeguati riscontri scientifici, si rischia l’adozione di misure eccessivamente onerose, in termini di proporzione tra il grado di probabilità dei rischi e di gravità dei danni temuti e l’incisività di quelle misure sulle libertà antagoniste.


Una gestione dell’emergenza sproporzionata costituirebbe la violazione dello stesso principio, di precauzione, che l’ha ispirata.


L’ostensione di quei verbali se non risolverà il dubbio del corretto bilanciamento di quei principi operato dal Governo, con la percezione dell’inevitabilità e/o necessità del sacrificio dei diritti di libertà, restituirà al cittadino la certezza del corretto ripristino del circuito Sovranità-Democrazia, della saldezza dello stato di diritto e della piena facoltà dell’esercizio del diritto di controllo politico-democratico dell’attività di governo.

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*Commissario di Roma Capitale per A.c.t.
docente a contratto di diritto amministrativo
Martini e Mondelli – Law




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